I cartoni animati: storia di video e amore Era il 1843 quando la famosa rivista satirica britannica Punch utilizzò per la prima volta il termine “cartoon” con tono umoristico per riferirsi alle proprie vignette politiche. Il termine, utilizzato genericamente per indicare uno schizzo preliminare su un grande pezzo di cartone, è appunto un’inglesizzazione del termine italiano che indicava il materiale sul quale venivano disegnate queste bozze. Nello specifico, la rivista si riferiva agli affreschi del nuovo palazzo Westminster, definendo così una connotazione parodistica del termine che è rimasta una caratteristica fondamentale del cartone animato fino ai giorni nostri. Dopo poco meno di duecento anni, infatti, si potrebbe comodamente dire che questo termine abbia fatto parecchia  strada, come ne ha fatta ovviamente la forma d’arte a cui si riferisce, trasformandosi ed evolvendosi continuamente nel corso dei secoli. Lo sviluppo di questo metodo di rappresentazione narrativa è andato di pari passo con gli strumenti utilizzati per realizzarlo, che hanno infatti portato progressivamente all’idea di disegno animato. Dai primi strumenti molto semplici, come il taumatropio (1824) costituito da un cartellino di cartone che aveva un disegno per ognuna delle sue due facce, al più complesso cinematografo (1894) dei fratelli Lumière, che funzionava con pellicola fotografica e fungeva contemporaneamente da proiettore. Per l’introduzione del rodovetro, ovvero un foglio trasparente sul quale viene stampato il disegno dell’animatore e poi dipinto, che inoltre ha caratterizzato l’animazione moderna, bisogna aspettare Earl Hurd nel 1914. Da quel momento, come capita con le correnti artistiche o le tecniche creative, la diffusione nel mondo ne trasforma le intenzioni, gli stili e le narrazioni. Dalla scuola di Zagabria, con il loro stile astratto, minimale ed il forte impegno sociale, all’intrattenimento statunitense di Walt Disney ed Hanna-Barbera. In Italia, quando l’animazione si diffuse nel 1914, Guido Presepi con l’iconica tecnica del passo uno, insieme ad altri animatori come Pensuti e Amadoro, diede all’animazione un orientamento più pubblicitario che pedagogico. Oltre questo, il successo e la diffusione di questo innovativo metodo di animazione è dovuto alla semplicità e fruibilità della tecnica, che lo rende un medium molto versatile con la potenzialità di essere utilizzato per spot, titoli dei film, video musicali ed altro. Tutt’altro discorso è l’anime giapponese, vero e proprio fenomeno culturale popolare di massa e forma d’arte tecnologica. La parola è un neologismo giapponese che deriva dal termine inglese animation. Per questo tipo di animazione non c’è alcun limite di target o format. Si possono trovare cortometraggi, lungometraggi o mediometraggi e l’infinita varietà della produzione fa in modo che qualsiasi individuo di qualsiasi età o classe sociale trovi un prodotto adatto al proprio interesse. La diffusione di questa forma d’arte avviene nello stesso periodo dell’animazione occidentale, nei primi anni del ‘900. L’evoluzione parte dai primi esperimenti di tecniche d’animazione degli anni ‘10 all’avvento dell’industria dell’anime del dopoguerra, favorito dalla diffusione della televisione e dei manga (fumetto giapponese). Al giorno d’oggi l’impatto di questo stile d’animazione è riconosciuto in tutto il mondo.  In Italia, alla diffusione degli anime giapponesi ha contribuito anche un fenomeno prettamente nostrano, quello delle sigle televisive degli anime: ritenendo gli originali cantati in giapponese inadatti ai bambini italiani, sin dalla fine degli anni ‘70 essi vennero molto spesso sostituiti da brani appositamente realizzati in lingua italiana. Fu proprio la diffusione degli anime in Italia che introdusse definitivamente il mondo dell’animazione nella cultura popolare del Belpaese. Prima di questo fenomeno, nei primi anni ‘70, grazie a programmi televisivi come Supergulp, i primi tentativi di aprire le porte al mondo dei cartoni animati stavano lentamente entrando nella vita dei telespettatori. Questo programma che vantava la collaborazione di animatori come Bruno Bozzetto, Hugo Pratt e Sergio Bonelli, consisteva nella rappresentazione di immagini statiche di fumetti riprese e trasmesse in successione, come se si stesse leggendo un fumetto, mantenendo le nuvolette con battute dei personaggi che venivano lette dai doppiatori. Più tardi, nella trasmissione vennero introdotti anche i cartoni animati della Marvel o di Hanna&Barbera. Sulla scia di questo successo si aggiunsero gradualmente una moltitudine di animazioni di vario genere, dai già citati anime ai prodotti dell’animazione belga Asterix & Obelix. Tanti personaggi animati di quei tempi sopravvivono nella memoria degli italiani, tra questi, solo per citarne alcuni, ci sono I puffi di Peyo, di animazione statunitense ma ispirati al fumetto belga degli Schtroumpfs, il simpatico Charlie Brown di Peanuts, Lupin e molti altri. Ad oggi, l’immenso potenziale di questa produzione artistica è ben riconosciuto in tutto il mondo senza limiti demografici o culturali. I cartoni animati sono per tutti, dai piccoli ai grandi, un universo affascinante ed eterogeneo, sempre dinamico, ricco di novità e sorprese. Per celebrare questo fenomeno artistico sono numerosi i festival oggi dedicati all’animazione, ne citiamo solo alcuni come la kermesse internazionale di Annecy ed il Future Film Festival di Bologna. L’animazione per tutti noi ha un significato particolare: c’è chi collega alcuni cartoni animati all’innocenza dell’infanzia, quando si guardava la televisione di mattina durante un’influenza; chi ha imparato lezioni di vita molto importanti grazie ad un anime e chi semplicemente ha dei ricordi preziosi legati a qualche lungometraggio Pixar. Per noi, che dell’animazione abbiamo fatto una passione e professione, è un mondo da esplorare che ti insegna ogni giorno cose sempre nuove.