Secco e straniante e con nessuna via di fuga. Se leggi Dipartimento di teorie folgoranti di Tom Gauld (Mondadori Oscar INK) devi aspettarti questo: niente fronzoli, tante risate e molti pensieri laterali. Ogni striscia infatti anche se fa ridere genera una concatenazione di riflessioni che di giocoso a volte hanno poco. 

 

Se vi piace l’humor inglese, allora magari apprezzerete anche questo che è scozzese ed è ancora più ruvido, glaciale e tagliente. Ecco, più che essere ironico questo libro è sardonico, è strisciante come un cobra che a un metro da te improvvisamente alza la testa per lanciartisi contro. 

Questo non è un fumetto di evasione, da Tom Gauld non si scappa mica neppure chiudendo il libro. Le sue strisce ti inseguono mentre bevi il caffè, aspetti l’autobus e cerchi di concentrarti su un lavoro. Ed è proprio grazie al fatto che ti si appiccica addosso e ti stalkera i pensieri che i libri a fumetto di Gauld sono da considerarsi opere letterarie di grande spessore. Gauld ci aveva già introdotto al suo stile apprezzato dal vasto pubblico e da chi si occupa di fumetto, nel 2018 infatti l’artista ha vinto un Eisner awards con In cucina con Kafka nella categoria migliore opera umoristica.

Dipartimento delle teorie folgoranti raccoglie 150 strisce apparse sul settimanale New scientist, il  disegno è ridotto all’osso e si accompagna perfettamente ai balloon asciutti pieni di testo, in uno stile che ricorda molto le battute di Sheldon del telefilm Big bang theory. 

Per leggere questa nuova raccolta non serve essere ultra ferrati in scienza, basta aver frequentato le medie inferiori perché tra robot che prendono il controllo, cloni da costruire come mobili IKEA e teorie scientifiche da approvare via social, tutti possono comprendere l’ironia e il contenuto delle strisce, basta lasciare briglia sciolta alla fantasia.

Eppure tra una risata e l’altra, è impossibile non chiedersi cosa sia la scienza oggi e quanto ne capiamo veramente di esperimenti e scienziati. Ecco, Gauld rende tutto più umano giocando anche con stereotipi, quelli degli scienziati su di noi e quelli nostri sugli scienziati.  

Perché la scienza non deve essere per forza noiosa, può far ridere e può far pensare.