Luca Genovese è un fumettista e illustratore italiano. Nasce a Montebelluna (TV) ma vive e lavora a Bologna.

Dopo un inizio legato alle auto-produzioni, nel 2001 pubblica, all’interno della collana Schizzo presenta, edita dal Centro Fumetto “A. Pazienza”, il suo albo Della nebbia.

In seguito pubblica Zero Zèlo ed Ely è là per la casa editrice Indy Press e realizza i disegni della trilogia The Awakening, su testi di Neal Shaffer, per la BD.

Nel 2003, insieme all’amico sceneggiatore Luca Vanzella, fonda l’etichetta copyleft Self Comics, per la quale cura le scelte editoriali e disegna diverse storie brevi.

Nel 2005 vince il premio “Attilio Micheluzzi – Strade nuove”. Tra il 2006 e il 2007 escono per la casa editrice Black Velvet Ferragosto e Apartments-Gente comune, dove disegna uno dei racconti scritti da Otto Gabos.

Nel 2011 pubblica, con i testi di Luca Vanzella, il primo volume dell’epopea robotica Beta (Bao Publishing). Nel 2014, sempre in coppia con Vanzella, esce Aleagio. Tutte le avventure di Aleagio Vaccarezza. Nel 2015 i due autori riprendono la saga robotica Beta, con il volume L’era dei robot giganti, di cui nel 2016 esce il secondo volume con il titolo Battaglia per il futuro.

Approda nella Sergio Bonelli Editore, entrando nello staff di Orfani. Sempre per la Bonelli partecipa allo speciale Dylan Dog Color Fest n. 15 del 2015, con la storia Il mondo negli occhi, insieme a Luca Vanzella e Luca Bertelé.

Nell’autunno del 2018 è uscito il graphic novel “Andrea” per Feltrinelli Comics ambientato a Bologna disegnato da Luca Genovese, autore dei testi il Gruppo musicale “Lo Stato Sociale”.

Per Sergio Bonelli Editore nel 2020 illustra K-11. Vol. 2 scritto da Matteo Casali e nel 2021 disegna A proposito del futuro. Terra. Orfani scritto da Emiliano Mammucari e Matteo Mammucari. 

Sempre del 2021 è Graziella, il suo primo fumetto erotico, edito da MalEdizioni. Il volume è stato candidato al Premio Boscarato 2021 come miglior artista (disegno).

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IG: https://www.instagram.com/bukkame/?hl=it

Parlaci un po’ di te, da dove vieni e qual è la tua storia?

Vengo dalle lande nebbiose del veneto, sono cresciuto nella provincia di Treviso e dopo la maturità ho studiato alla scuola Internazionale di Comics di Firenze, iniziando poco dopo a pubblicare e lavorare come disegnatore e fumettista. Da qualche anno vivo e lavoro a Bologna.

Come ti sei avvicinato al fumetto? Che percorso formativo hai fatto?

Il fumetto ha sempre fatto parte della mia vita, mio padre è tutt’ora un lettore di fumetti, all’epoca leggeva Tex e ogni tanto Diabolik, mio fratello maggiore pure leggeva, soprattutto Topolino e poi Marvel vari, io sono arrivato dopo e mi sono più legato ad animazione e fumetto giapponese che da lì a poco sarebbe stato presente nelle edicole. Ho sempre coltivato parallelamente alla passione della lettura, la passione del disegno e della narrazione. Riempivo quaderni di storie a fumetti più o meno lunghe, disegnavo nei diari dei compagni di classe le storie che loro creavano, con noi tutti come personaggi super caricaturizzati, disegnavo per commissioni per amici e fratelli di amici. Attorno a me fin da piccolo c’erano appassionati di fumetto con cui chiacchierare, anche se l’atmosfera era quella della sfigavera da ghetto nerd, ma nessuno comunque disegnava fumetti e praticamente nessuno condivideva una passione creativa come la mia più che una pura passione da lettore. Dopo la maturità ho deciso di frequentare la Scuola Internazionale di Comics a Firenze e lì ho incontrato finalmente molti compagni, persone che avevano lo stesso mio obiettivo, imparare e fare fumetti. Ognuno veniva da diverse influenze e ho scoperto nuovi autori che prima mi erano sconosciuti. Ho studiato, letto e disegnato tantissimo, oltre ad aver fatto un sacco di festa. Durante quel periodo ho creato quei personaggi che hanno fatto parte delle mie prime storie a fumetti che poi sono state anche i miei esordi (Della nebbia e altre storie, edito dal CFAPAZ) e poi Zero Zélo e Ferragosto (Indypress l’uno e BlackVelvet l’altro). Man mano che pubblicavo e frequentavo ambienti fieristici ho conosciuto vari autori colleghi e l’incontro con Luca Vanzella è stato importantissimo a livello professionale (oltre che umano). Abbiamo cominciato a collaborare come sceneggiatore e disegnatore, abbiamo creato un’etichetta di autoproduzioni (SelfComics), fatto molti libri e storie brevi spaziando dalla graphic novel da libreria (per Becco Giallo, per Bao Publishing) fino alla storiella per la fanza autoprodotta. Non ci siamo mai preclusi nessun canale crescendo assieme fino ad approdare alla Bonelli (su Dylan Dog e Orfani) e continuando tutt’ora a lavorare su nuovi progetti assieme.

Quali sono i tuoi maestri/e?

Nonostante all’epoca non c’erano i crediti nelle storie a fumetti di Topolino, ricordo benissimo come mi bastava sfogliarne un numero per vedere se c’erano tra le storie quelle “disegnate bene” che mi appiccicavano alle tavole stregato da quella morbidezza del tratto e la composizione della tavola. Avevo un paio di disegnatori preferitissimi, poi ho scoperto che si trattava di Cavazzano e Mastantuono. Loro sicuramente hanno avuto una grande colpa a far crescere in me la voglia di fare fumetti. Altre cose che amavo e che credo mi abbiano formato soprattutto come narrazione, gusto della battuta o del grottesco ricordo Pinky, i Ronfi, la Stefi, Cattivik e Lupo Alberto e poi ovviamente gli anime che andavano a rotazione sulle tivù locali, da Lamù a Conan a tutti i robottoni vari. Non me ne perdevo uno, ero sempre davanti allo schermo e poi sulle pagine disegnate, e poi sui miei fogli. Le mie diottrie me l’hanno fatta pagare.

Nel tuo percorso si incontrano storie autoriali e popolari. Hai una preferenza tra le due o hai trovato un equilibrio fra entrambe?

Vien facile dire che la preferenza va alla storia autoriale, dove la libertà creativa e interpretativa è spesso assoluta. Comunque considero le mie storie autoriali anche storie popolari, ho letto molto fumetto popolare e quindi un po’ ci trovi anche quella pop nei miei racconti più indi.

Non solo l’autoriale e il popolare ma anche l’occidentale e il nipponico. Come è nata l’idea di far incontrare questi due mondi?

Non credo mi sia nata da qualche ragionamento preciso, è stato un processo naturale, forse viene dal fatto che ho visto moltissima animazione negli anni e quando penso a una scena la vedo animata, poi la sintetizzo sulla tavola usando il linguaggio del fumetto. Sono stato vorace lettore di moltissimi stili, tra occidente e oriente, un po’ un ibrido che forse fa emergere quelle influenze che ho già citato.

C’è un personaggio o una storia tra quelle che hai disegnato a cui sei più affezionato o che vorresti ridisegnare?

Beh se si intende “ridisegnare perchè ora verrebbe meglio” accidenti, tipo tutte, ma le storie fatte vanno lasciate così che sennò non si finisce più di rimetterci mano. Io sono molto affezionato a Beta, un progetto ambizioso e la cosa più complessa che ho fatto assieme al mio socio Vanzella, quello ha ancora un posto importante nel mio cuore e nel mio curriculum.

Hai una diversa modalità di lavoro a secondo dei progetti che realizzi? Sei disciplinato o lavori d’impulso?

Cerco di darmi una disciplina da anni, ma sono comunque molto discontinuo. Non ho una modalità di lavoro precisa, se non la classica partenza da storyboard per poi passare alla tavola definitiva. Se invece sto lavorando ad un progetto personale parto da molti appunti sparsi, mi carico di linee di testo, dialoghi a fiume, descrizioni, disegni e facce, facce e tante facce, piccoli layout di alcune scene. Alcune cose le disegno direttamente come uno storyboard o come una matita semi definitiva con testi. Poi c’è da mettere tutto insieme e far quadrare tutto. non ho un sistema preciso, a volte mi faccio sorprendere dalle scadenze e pare che lavori di impulso ma sono solo di fretta, con la concentrazione a palla che non c’è tempo da perdere.

Qual è stata la tua ultima pubblicazione?

Non so se vale l’artbook della serie animata di “Dragonero – i paladini” per cui ho curato il character design, perciò direi che l’ultima pubblicazione per Bonelli è un Dylan Dog, il 428, mentre è del 2021 una storia breve dal titolo Graziella pubblicata per MalEdizioni Officina Editoriale.

Cosa consigli a chi vuole diventare fumettista?

Se la passione è grande, consiglio di farsi un’idea di dove quella passione ti può portare, chi ti può pubblicare e che tipo di lavori e lettori vuoi avere. Di avere pazienza e di lavorare tanto divertendosi.

Pensi che i dispositivi digitali possano assorbire il fumetto mettendo da parte la carta?

Parlando di distribuzione, sarebbe auspicabile. Risparmiare carta e distribuire il fumetto in digitale è una strada che mi auguro avrà sempre più seguito. Non sostituirà il libro oggetto ma potendo farne a meno di oggetti di carta, il risparmio è notevole per tutti. La cura editoriale sarebbe maggiore ed è una scelta più ecologica. Mentre per il lavoro, non credo che i dispositivi assorbiranno mai la carta, sono supporti diversi con diverse comodità e funzionalità ma possono convivere tranquillamente. Se invece mi parli di A.I.art, non ho un’opinione a riguardo 🙂

Com’è il mercato dell’editoria nel tuo mondo ideale?

Oh, c’è un re giusto, grassoccio e buono, che ama il fumettomondo in ogni suo aspetto, ci sono tanti bei libri, tutti hanno un sacco di lettori, ci sono proposte per qualunque esigenza di lettore e di produzione, si viene pagati onestamente e si viene considerati dei lavoratori a tutti gli effetti e si viene tutti invitati ai balli del re grasso e giusto. Nel mio mondo ideale ci sono più lettori che autori e si fanno un sacco di libri pop-up (cosa che prima o poi voglio assolutamente fare).