Alberto Corradi, veronese di nascita e classe ’71, è un fumettista, scrittore, saggista e pittore italiano.

All’età di 18 anni lascia la città natale per Venezia dove frequenterà i corsi di Lettere con indirizzo Archeologico Medievale presso la Università Ca’ Foscari, laureandosi nel 2001.

Nella vicina Treviso conoscerà Massimo Perissinotto e Omar Martini, con cui fonderà nel 1993, insieme al grafico e fumettista mestrino Maurizio Ercole, la rivista Snuff. Dal 2001 al 2009 ha proseguito l’esperienza editoriale iniziata con Snuff con la casa editrice Black Velvet. Con Maurizio Ercole ha lavorato come redattore per le case editrici Akromedia e Musa Edizioni di Mestre (Venezia) dal 1996 al 1998.

Ha collaborato a varie riviste e antologie italiane tra cui Comix, Blue, L’Ostile, Neural, Kerosene, Tattoo Comix, Frontiera, Umberto Baccolo’s (n)INFOmaniac e straniere (Stripburger, Mutate & Survive, Stereoscomic Gigantic, Strip Art Vizura, 106U, Silent Wall, Le Dernier Cri). Dal giugno 2006 al dicembre 2013 collabora con la rivista di Repubblica XL, creando i personaggi di Mostro & Morto, mentre per Linus dal 2010 al 2013 realizza la serie Conte Vlad. Dal 2011 è entrato a far parte del gruppo di artisti che collaborano con Smemoranda.

Ha pubblicato i mini-comic Cronache da Apatolandia (Mezzoterraneo Edizioni) e ! (Lo Sciacallo Elettronico – De Falco Edizioni), l’antologia senza parole Regno di Silenzio (NPE) e il romanzo grafico Smilodonte (Black Velvet Editrice).

Nell’editoria per l’infanzia ha pubblicato Il mostro nella tazzina (Travenbooks), da cui successivamente ha tratto l’omonima serie a fumetti senza parole pubblicata da settembre 2013 a maggio 2016 sulle pagine del GBaby, mensile prescolare delle Edizioni San Paolo. Nel 2007 ha illustrato La Macchia su testi di Arne Svingen (Adriano Salani Editore).

Nel 2006 è entrato a far parte del movimento pittorico Pop Surrealist italiano. Ha partecipato a mostre personali e collettive in Italia, Corea del Sud, Francia, Macedonia, Messico, Portogallo, Serbia, Slovenia, Stati Uniti e Svezia.

Dal 2011 al 2016 ha curato le mostre internazionali del Treviso Comic Book Festival, ospitate presso la Fondazione Benetton Studi e Ricerche. Il 2013 ha visto la nascita del progetto e supergruppo di artisti QU4TTRO (Alberto Corradi, Diavù, Massimo Giacon, Ale Giorgini), inauguratosi con OFFICIN4 durante le giornate della AAF (Affordable Art Fair) di Milano. Nel 2016 ha curato con i colleghi Diavù e Massimo Giacon il volume antologico XL Comics (Panini 9L), che raccoglie la quasi totalità delle storie a fumetti apparse su La Repubblica XL. Nel 2017 fa parte del team di illustratori di Il Manuale Illustrato dell’Idiota Digitale di Diego Cajelli (Panini Comics Italia).

Dopo aver vissuto otto anni (2002-2009) a Bologna, risiede e lavora a Verona.

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IG: https://www.instagram.com/vampiro71/

Parlaci un po’ di te, da dove vieni e qual è la tua storia?

Vengo da Verona, ma compiuti diciotto anni sono andato a vivere a Venezia e poi a Bologna. Al momento sono tornato dove sono nato, ma non so per quanto. Disegno storie da tanti anni: la mia passione sono gli scheletri e i mostri, il fantastico, lo strano, l’arcano: da piccolo restai folgorato dai libri illustrati dedicati alle creature preistoriche, come ho raccontato nel mio romanzo quasi autobiografico Smilodonte. Il mondo che traspongo sulla carta è una dimensione surreale fatta di strani esseri, curiosi animaletti, umani improbabili, fumo ossa teschi e interiora.

Come ti sei avvicinato al fumetto? Che percorso formativo hai fatto?

Da bimbo leggevo Topolino e Il Corriere dei Piccoli, amavo Gianconiglio di Triberti & Peroni e i Ballordi del grande Giancarlo Tonna. Poi il Giornalino (Pinky!), Linus, pacchi di strisce del Mago Wiz e B.C. Le medie furono un periodo difficile, ma c’era un compagno di classe portato per il disegno che riproduceva molto fedelmente alcuni personaggi delle strisce sindacate americane e ne creava di suoi. Fu allora che decisi di fare fumetti. Proseguii sul giornalino studentesco del liceo (dove però scribacchiavo solo qualche articolo e racconto) e sulla base di quell’esperienza ne fondai uno mio quasi unicamente a fumetti, Delta! che fuori dalle mura scolastiche divenne fanzine con recensioni, anteprime e interviste.

Nel 1987 alla Fiera del Libro di Bologna portai alla Disney dei disegni di paperi e Giovan Battista Carpi ci intravvide qualcosa di buono: mi disse di farmi vivo quando avessi accumulato un po’ di  tavole papere e topiche. A questo incontro fecero seguito tre mesi di lavoro, ma complici i miei sedici anni, ansia e insicurezze varie non chiamai Milano. L’esperienza con topi e paperi però mi servì a sciogliere il polso e a iniziarmi a quella che resta la mia disciplina prediletta, i pennelli.

Qualche anno più tardi, a Treviso tramite comuni amici disegnatori conobbi Omar Martini e Massimo Perissinotto e a seguire Maurizio Ercole: nel 1993 sfornammo la rivista Snuff mentre qualche mese dopo alcune tavole della mia serie Storielline apparvero sulla rivista Comix. Cominciò così. Pubblicazione dopo pubblicazione da Venezia sono poi approdato a Bologna entrando in forze alla Black Velvet Editrice dove ho lavorato fianco a fianco con Omar Martini fino al 2009. Nel frattempo ho continuato a pubblicare nell’editoria indipendente italiana e straniera e collaborato con Panini, Smemoranda e creato personaggi e serie per molte riviste tra cui Linus, La Repubblica XL, GBaby.

Quali sono i tuoi maestri/e?

Massimo Mattioli, non penso che sarei qui ora se non avessi conosciuto, amato, divorato il suo mondo. Luciano Bottaro. Bonvi, suo il libro che mi ha cambiato la vita, L’Uomo di Tsushima. Andrea Pazienza. Francesca Ghermandi. Hideshi Hino.
Hugo Pratt e Paolo Bacilieri per ritmo e dialoghi come anche la rivista Fuego, il Letargo dei Sentimenti di Igort e Silent Blanket di Gabriella Giandelli. 
Amo Shigeru Mizuki, Dave Cooper, Jeff Smith, Jay Stephens, David B., Tardi, Blanquet, Lewis Trondheim, Joann Sfar, Christophe Blain come anche Fabrizio Borrini, che disegnò la serie Karma per Dupuis, un autore pressoché sconosciuto in Italia.

Sei un autore di fumetti, illustratore, graphic designer, curatore, traduttore e redattore. Come riesci a conciliare tutte queste attività? Tra tutto quello di cui ti occupi, ce n’è una che preferisci?

Ogni disciplina ha il suo fascino e potere: quando mi immergo in una dimensione ne sono completamente avvolto. Passare da un ambito all’altro permette di ricaricare le batterie sugli altri fronti, di guardare le cose da una diversa prospettiva anche se mettere tutto insieme può risultare molto stancante. I fumetti sono il mio primo e sempiterno amore anche se spesso sono tentato dal pensiero di fondare una casa editrice tutta mia.

Viste le mille sfaccettature del tuo lavoro, che idea ti sei fatto degli autori e degli editori nel panorama attuale e che tipo di cambiamenti percepisci?

Nel corso degli ultimi quindici – venti anni l’evoluzione del fumetto italiano è stata soggetta a costanti strappi e non a passaggi progressivi. Se dovessimo paragonare il fumetto italiano a un corpo, lo immagino come una entità munita di uno scheletro costantemente fratturato, dove le linee di frattura calcificano in direzioni sempre nuove e diverse, ostacolandone la motilità. Il Fumetto esiste, ma è impacciato nei movimenti, costretto a poggiarsi sempre più spesso su correnti come giornalismo grafico, biografie e simili: la narrazione pura mi appare confinata in uno spazio che va via via restringendosi. L’impressione è che si stia producendo in modo concitato, un po’ vuoi per reggere i meccanismi legati alla distribuzione, un po’ per cavalcare l’onda del momento. Gli autori mi sembrano spesso in balia di questo moto ondoso del mercato, c’è uno slancio produttivo positivo ma percepisco anche un certo grado di smarrimento.
Gli autori ci sono e molto bravi, tra i giovani Iris Biasio, Guido Brualdi, Elisa Macellari, Pablo Cammello, Miguel Vila solo per citarne alcuni.
Oltre al mestiere prediligo lavorare su ciò che sento necessario raccontare nella speranza di essere in grado di trasmettere questo sentimento al lettore. Libri di questo genere ne ho rintracciati pochi ultimamente, uno degli ultimi che ho letto è stato Stagione di Guido Brualdi.

Dal 2011 al 2016 sei stato direttore artistico delle mostre internazionali del TCBF Treviso Comic Book Festival. Ti va di raccontarci questa esperienza? Che tipo di impronta ha avuto sulla tua esperienza di autore (ma non solo)?

Tutto è cominciato con la Svezia.

Il mio contatto iniziale con il mondo editoriale svedese era stato nel 2007 quando la redazione della rivista Galago era ospite del Crack! Festival a Roma e dove conobbi molti artisti tra cui Knut Larsson, Sofia Falkenhem, Marcus Nyblom e Henrik Bromander.

Tre anni dopo mi trovavo sulla navetta che dal centro di Stoccolma portava all’aereoporto, fresco reduce dallo Small Press Expo che si teneva nella Kulturhuset, la Casa della Cultura che ospita la Serieteket, la biblioteca dedicata al fumetto creata e al tempo curata dalla compianta Kristiina Kolehmainen. Da un po’ di tempo si discuteva con i direttori del TCBF Alberto Polita e Nicola Ferrarese su possibili progettualità e la ricchezza della proposta editoriale svedese fece da innesco all’idea di una serie di esposizioni. Così prese forma la prima edizione del festival con la mia collaborazione. È stato un viaggio durato sei lunghi anni: Svezia, Nuova Zelanda, Danimarca, Portogallo, Olanda, Regno Unito. La cornice delle mostre è stato il palazzo storico Spazi Bomben della Fondazione Benetton Studi & Ricerche dedicata al paesaggio.

Da subito ho avuto a mia disposizione il magazzino della Fondazione, a cui ho potuto attingere materiali che di volta in volta ho adattato alle esigenze delle diverse esposizioni, integrando quei materiali con supporti sagomati, tendaggi e altri supporti stampati all’occorrenza. Trovare una via in mezzo a un caos apparente ha stimolato la mia capacità gestionale.

Ogni mostra era strutturata su un percorso a partire dalla Storia del Fumetto della nazione ospite: mi sono occupato personalmente dei profili storici di Svezia e Portogallo. Nel 2014 la mostra Quadradinhos: Sguardi sul fumetto portoghese ha visto nascere anche una antologia – catalogo omonima sempre a mia curatela, co-prodotta da TCBF, Chili Com Carne e mimisol edizioni.

Per contattare gli autori selezionati, organizzare i punti di raccolta degli originali, dialogare con le istituzioni, mi sono interfacciato con operatori del settore, artisti come Dylan Horrocks e Ole Comoll Christensen, bibliotecari come Kristiina Kolehmainen e Marcos Farrajota che è anche editore della portoghese Chili Com Carne o come Tonio Van Vugt, caporedattore della rivista olandese Zone 5300 e direttore artistico del Festival Stripdagen Haarlem fino ad arrivare al critico, giornalista e editore inglese Paul Gravett con cui ho co-curato la sesta e ultima esposizione, Land Escapes: visioni ed evasioni dal Regno Unito.

Sono stati sei anni molto faticosi ma appassionanti. Come autore hanno determinato un rallentamento di parte della mia produzione a fumetti, ma al contempo mi hanno posto nella condizione privilegiata di dialogare e confrontarmi con colleghi e grandi autori del panorama internazionale.

Come autore hai una diversa modalità di lavoro a seconda dei progetti che realizzi? Sei disciplinato o lavori d’impulso?

Dipende, sono un gran casinista con profonde crisi di coscienza. Il mio spazio di lavoro mentre sono all’opera pare riarredato a colpi di mortaio, mentre una volta concluso l’atto tutto si ricompone e riordina. Tra disciplinato o d’impulso direi di essere un mix delle due cose, i testi a volte nascono autonomamente, a volte prima le immagini e poi i testi. Lavorare di getto è di certo molto appagante ma è una azione che va contenuta nel divenire di un’opera, specie se di lunga percorrenza. Tendo a rifinire molto, quindi non è raro che varie sequenze vengano limate, alcune tavole scartate e che alcuni dettagli si arricchiscano durante le ultime ricognizioni prima di chiudere il lavoro. Una cosa che mi assorbe moltissimo è la documentazione, non importa che il risultato sia una deformazione surreale che ormai da anni assieme alle mie consuete simbologie è il mio marchio “di fabbrica”.

La modalità logicamente varia a seconda del tema e della narrazione affrontata. Ultimamente sto lavorando sull’illustrazione per l’infanzia, una dimensione in cui mi trovo molto a mio agio, da un lato l’atto creativo è spontaneo, estremamente divertente e gratificante, salvo poi necessitare di una struttura articolata che mi richiede molta concentrazione e fatica.

Qual è stata la tua ultima pubblicazione?

A parte l’appuntamento annuale con Smemoranda e alcune illustrazioni apparse online legate a varie iniziative, durante il 2022 mi sono dedicato a tutta una serie di progettuali tra cui un gioco di carte e alcuni libri prescolari, rimanendo apparentemente ‘fermo’. 

Tra le uscite a mia firma posso anticipare che sarò presente su due antologie: Fumetti di Menare a cura di Stefano Zattera per In your face comix e un volume dedicato al wrestler nipponico Antonio Inoki, pubblicato dalla neonata casa editrice fondata da Gianluca Maconi e Andrea Scoppetta, Tentacle. Più tardi verso la primavera – estate apparirò su un numero speciale di Čapek e altre cose sono in arrivo.

Cosa consigli a chi vuole diventare fumettista?

Penso che autoprodursi sia sempre un ottimo sistema per garantirsi una buona dose di esperienza, indipendenza e introspezione. Molti esordienti (e non) si avvalgono di piattaforme online per promuovere e finanziare i loro progetti. Le piattaforme sono molto interessanti come strumento, anche se ho spesso la sensazione che possano diventare una sorta di ‘provincia digitale’, dove esisti solo dentro a quel determinato spazio (come spesso capita con i social), per quanto poi alcune pubblicazioni approdino anche in ambito fieristico-festivaliero. Il mio suggerimento è continuare a leggere di tutto e analizzare il lavoro dei professionisti, confrontarsi costantemente con i propri compagni di viaggio che poi potrebbero diventare anche colleghi, autoprodursi e/o costituire/aggregarsi a un collettivo e al contempo sondare il mercato editoriale valutando gli editori, le collane e le attinenze tra il proprio stile, tematiche e i loro indirizzi. Accettare con umiltà e attenzione le critiche, anche le più dure, ma senza mai tradire la propria identità: se fai questa vita devi avere un’idea, un sentimento che ti manda avanti.

Pensi che i dispositivi digitali possano assorbire il fumetto mettendo da parte la carta?

Se per dispositivo intendiamo cose tipo le tavolette grafiche, anche io ne possiedo una. Lei mi guarda, io la guardo, ci stiamo studiando a vicenda. Ma nulla può sostituire il piacere che mi dà sentir frusciare nel silenzio della notte un pennello che scivola su un foglio 220 grammi liscio. Se invece parliamo di supporti come i reader di ebook, penso e spero che un simile assorbimento non avverrà mai per il fumetto come per l’editoria tutta. Ragionando su vantaggi e svantaggi, è innegabile che i libri occupino spazio al pari dei supporti audiovisivi, ma di contro sono archivi dello scibile. La memoria e la conoscenza si perpetuano attraverso il riscontro visivo sì, ma anche quello fisico. Quando lavoro l’azione, anche solo propiziatoria, che compio è di aprire un libro, cercare un riferimento, un conforto; un oggetto che lì sul tavolo abbia funzione di spirito guida, feticcio o presenza. Poi c’è l’atto del documentarsi: la ricerca immagini in rete è diventata parte integrante della documentazione di molti se non di tutti, ma nulla può rimpiazzare la specificità dei libri.

Quando tocchi un libro entri in contatto con la carne e il sangue dell’autore. Senti la carta, le porosità gli spessori i profumi, vedi gli ingiallimenti, le macchie di umidità, le scollature e gli strappi, ti suscita ricordi del momento in cui ne sei entrato in possesso, di quello che stavi facendo o di con chi eri, dove ti trovavi. Ridesta sentimenti.

Nel caso di un libro digitale probabilmente se non eri in treno eri a casa tua, non ti muovevi, divano o bagno, hai fatto un click, ti è sceso di una tacca un credito digitale che nemmeno più ti premuri di controllare… e poi lo leggi o lo archivi destinandolo a altri momenti? Quanto hai desiderato quel libro? Certo capita di comprare libri di carta che leggeremo tra venti anni, ma il libro sta sullo scaffale e ci guarda, ci ricorda che è lì in attesa di essere letto, esplorato. Scorri con lo sguardo la tua libreria, ti cade l’occhio su un libro che hai letto o amato… ma ti ricordi il libro o ti ricordi solo di averlo amato? Nel dubbio cercando di richiamare i fatti salienti della storia apri a una pagina, leggi un passaggio… potrebbe capitare di rileggersi tutto il libro. Se hai tutto su un tablet o un pc, accadrebbe comunque? Gli autori hanno una produzione che attraversa fasi temporali ed evolutive: una fila di libri di un determinato autore in ordine cronologico segna la sua crescita stilistica. Un archivio digitale non lo vedi, non è un frigorifero pieno di cibo che vai ad aprire a prescindere da quello che contiene perché hai fame. Una libreria quando ci passi accanto stimola un appetito più profondo. Col digitale scrolliamo su e giù un elenco e spesso non riusciamo a focalizzare, come nel mondo social da telefono: su una home provare a soffermarsi almeno qualche secondo in più su un post, rendersi davvero contro di quanto è bello quel singolo disegno che è costato tempo e fatica a chi l’ha fatto non dovrebbe essere difficile, eppure sei già passato all’immagine successiva. 

Tutto è narrazione, a partire da quella cosa quantificabile come realtà: narrazione per narrazione, che scenari si aprirebbero se in un prossimo futuro prendessero piede nel mondo dell’editoria tipologie analoghe alle attuali piattaforme di streaming on demand per cinema e serie tv, dove tutto è a nolo su un cloud ma disponibile a seconda della società, degli accordi e del periodo? E se qualcuno deputasse AI evolute ad aggiornare di volta in volta testi e immagini in base alla ‘sensibilità’ del periodo storico? Nel corso di un centinaio d’anni quanti libri assomiglierebbero anche solo lontanamente al libro originario? Quanti si ricorderebbero come era l’originale parola per parola se le future generazioni fruiranno solo l’online? E se una volta rimossi i supporti fisici tutto finisse archiviato in un cloud, una perdita dati, un blackout globale o peggio ancora un’onda elettromagnetica basterebbe a corrompere o peggio a cancellare l’intero scibile umano, fumetti inclusi? Chissà, ma per precauzione oltre ai libri teniamoci strette e oliate le ultime macchine da scrivere, carta, inchiostri e ogni strumento da disegno manuale.

I libri sono banchi di informazioni che non smettono mai di circolare, dalle biblioteche alle librerie a quelle di seconda mano, ai volumi abbandonati per strada in uno scatolone in una notte d’estate, al book crossing. La carta è un baluardo culturale che si può e si deve riciclare, senza trascurare altri materiali di stampa la cui produzione sia di minor impatto sull’ambiente.

Com’è il mercato dell’editoria nel tuo mondo ideale?

Idealmente sarebbe bello trovarsi in un mercato economicamente stabile, un fluire eterogeneo di ogni genere di narrazione, non condizionato da distributori o mode, con un pubblico ricettivo e consapevole che popola attivamente le librerie e le biblioteche, curioso e onnivoro ma soprattutto distante dai fenomeni sospinti da stampa, social o programmi tv vari. E ovviamente dove tutte le parti della catena produttiva vengono retribuiti equamente.